Ha iniziato presto a lavorare Gino. Un mestiere lento, antico, faticoso, come la costruzione dei muri a secco, di cui è un vero e proprio maestro.
“Per i muri a secco” spiega “si utilizzano pietre di recupero o di scarto. I pezzi più grossi vengono posizionati con la parte piatta verso l’esterno, mentre all’interno si mette la cosiddetta “zavorra”, composta da pietre più piccole. Normalmente, per i muri a secco si rispetta una pendenza che va dal 10% fino al 15% per quelli di contenimento”.
La difficoltà principale sta poi nel creare quegli incastri perfetti che permettano al muro non solo di essere stabile anche senza l’utilizzo di malte (da qui il nome a secco), ma di avere un impatto visivo armonioso. E qui entra in gioco solo l’esperienza.
Ci vuole poi molta pazienza e un lavoro certosino di martello per creare l’opus incertum, come la definisce Gino, citando in latino proprio la stessa tecnica costruttiva utilizzata dagli antichi romani.
Nelle Terre di Corillo è stato sempre lui a curare la ricostruzione delle Pajare (i vecchi capanni per riporre gli attrezzi da lavoro) e dello spettacolare colonnato del roseto, oltre a tutte le pavimentazioni interne ed esterne in basole della masseria.
Per altre strutture si è avvalso invece di un’altra tecnica che fa sempre parte della tradizione del luogo: il cocciopesto, preparato come un tempo, mescolando la calce con materiale di recupero in terracotta.
Una volta posato, si batte e ribatte per rendere la superficie liscia e omogenea. Una sorta di pavimentazione ecosostenibile ante litteram, rispettosa dell’ambiente perché si avvale del riciclo di materiali di scarto.
“Mi è sempre piaciuto fare questo lavoro, mentre mio padre avrebbe preferito che io continuassi a studiare”. Il segreto? “Avere molta passione”. Parola di un vero maestro.